La tempesta del coronavirus che ha investito in pieno anche la comunità di Sona, con il primo dei nostri concittadini risultato positivo al contagio, ci obbliga ad alcuni ragionamenti. Strettamente legati al nostro essere e muoverci come comunità.
Da quando l’emergenza è planata anche nel Veneto si sono susseguiti provvedimenti del Governo, e a cascata della Regione, dalle autorità sanitarie e del Comune, finalizzati ad arginare il rischio del contagio. Viste da Sona, alcune scelte arrivate da Roma e da Venezia sono apparse talvolta poco comprensibili, talvolta esitanti, talvolta contraddittorie tra di loro.
Quello su cui però qui vogliamo ragionare è la questione del rispetto di queste regole. Sono regole che possono non piacerci, sono provvedimenti che magari possiamo non condividere, sono limitazioni alle nostre vite private e pubbliche che talvolta magari fatichiamo a comprendere. Ma sono regole che arrivano da autorità che, come cittadini, abbiamo il dovere di ascoltare e che in questo momento ci impegnano tutti in uno sforzo collettivo finalizzato ad uscire, assieme, da una situazione sicuramente complessa. Una situazione che mette alcuni di noi a rischio: i più fragili per età o per condizioni personali.
Ciascuno di noi può legittimamente pensare quello che vuole su quanto sta accadendo, su cosa si è fatto e su cosa non si è fatto, ma la realtà è sovrana. Piaccia o non piaccia, ma è sovrana. Ed è con la realtà che dobbiamo dialogare. E la realtà oggi anche a Sona è quella di un virus da cui dobbiamo difenderci.
Quello che quindi ci è chiesto, stavolta veramente senza se e senza ma, è di comportarci e di agire come una comunità responsabile e solidale, proprio per proteggere chi tra di noi ha più da perdere da questa situazione.
Per dire, non dovrebbe servire chiedere maggiori controlli da parte del Comune sugli esercizi pubblici perché vengano rispettate le regole sanitarie sulle distanze, sugli accessi e su come si interagisce con i clienti. Perché è doveroso che i controlli ci siano, ma prima di tutto siamo noi chiamati ad una responsabilità personale. Che deve portarci ad uniformare i nostri comportanti a quanto ci è richiesto. A rispettare le regole non perché ci viene imposto ma perché crediamo nel nostro essere comunità.
Siamo consapevoli che alcuni stanno pagando più di altri questa situazione. Penso alle nostre famiglie che devono fare i salti mortali per prendersi cura dei ragazzi a casa da scuola. Penso alle tante nostre aziende e a tanti nostri negozi, bar, ristoranti che rischiano danni economici difficilmente superabili.
Ma, e questo fa ben sperare, vedo tantissimi che a Sona lavorano per traghettarci fuori da questa tempesta. Penso agli ospedali del territorio, con i medici e gli infermieri veramente in trincea. Penso al Sindaco Mazzi e agli uffici del Comune di Sona, che stanno facendo il massimo per tutelare e proteggere il nostro territorio, con intelligenza e con un impegno che non ha orari o soste. Penso agli insegnanti delle nostre scuole, che si stanno letteralmente inventando un nuovo modo di fare didattica per tentare di arginare la situazione. Penso alle nostre valorose associazioni, che assicurano servizi e assistenza. Penso ai tanti di noi che lavorano in positivo, per uscire, ognuno portando il proprio piccolo contributo.
Sono decenni che ciarliamo ovunque e comunque di quanto sia importante il bene pubblico, tanto da farla scadere quasi ad espressione frustra e retorica. Ed invece oggi, qui, a ciascuno di noi è chiesto proprio di dimostrare quanto realmente teniamo alla nostra comunità. Sapendo sacrificare parte della nostra dimensione privata e pubblica per raggiungere, assieme, un bene pubblico concreto: quello di superare questo difficile capitolo, per poter ripartire.
E ripartire più forti e più uniti di prima, anche qui a Sona.