Coronavirus: “I miei giorni durissimi malata di coronavirus”, la testimonianza di Valentina, infermiera professionista (e allenatrice dei bambini a Lugagnano)

Pubblichiamo la toccante testimonianza delle paure e delle fatiche di vivere con il coronavirus di Valentina Pulcrano, infermiera professionista che nel tempo libero allena i bambini dell’UCD Lugagnano.

Eccomi qua a scrivere di quello che sento, che ho sentito, le mie emozioni e sensazioni di un viaggio che non sapevo di fare, così improvviso e burrascoso che anche senza biglietto mi sono ritrovata su questo treno diretto non so dove ma che mi sta portando in un viaggio nuovo chiamato forse “nuova vita” o meglio “rinascita”.

Sono qui che scrivo ancora con un po’ di fiatone, o meglio fiato corto, ma ci sta, sono passati solo una decina di giorni dal famoso “episodio”. Mi riprendo, respiro a fondo e qui di getto scrivo quello che provo. Una sorta di diario, chissà un giorno rileggendo tutto questo forse riderò o forse mi emozionerò, o forse sarà un pezzo di vita che è passata silenziosa dentro la mia anima.

Ritorno a quel giorno, 4 aprile scorso, era sera circa le 21.30. Premetto che avevo smontato dalla notte al lavoro il 2 aprile, sì perché sono un’infermiera e ho lavorato anch’io in questa battaglia contro questo mostro chiamato COVID -19.

Ma fino a qui è una cosa normale, è il mio lavoro, la mia passione, non avevo rimorsi e timori neanche ad entrare in quelle stanze chiuse e buie imbardata come un astronauta o quasi. Io sono nata per aiutare il prossimo e quale miglior lavoro se non fare l’infermiera?

Non mi dilungo. Sono le 21.30, tutto il pomeriggio avevo sensazioni strane, naso che cola, starnuti a non finire, tosse secca, insomma tutto quello che un forte raffreddore può portarti. L’unica cosa che mi preoccupava era la febbre: mai avuta se non da piccola e soprattutto quel senso di pesantezza sul petto, con fiato corto. Pensavo: vabbè sono asmatica con il naso chiuso e l’influenza ci sta. Ma continuando a pensare o meglio sentire il mio corpo sapevo che c’era quella sensazione strana che mi portava a dire: Vale c’è qualcosa che non va?

Con un po’ di timidezza mista a vergogna chiamo la mia Dottoressa di base (non sono una piagnona, cerco di non disturbare mai nessuno, sono una tosta ed è difficile che io chieda aiuto) le spiego che ho un po’ di febbre ma non è quella che mi ha fatto spaventare, ma il fiato corto. Solo a parlare al telefono mi sembrava di aver corso 100 chilometri.

La mia Dottoressa capisce subito tutto, l’unica domanda che mi ha posto è stata ma sei stata a contatto con pazienti COVID positivi? Ho tentennato un attimo nella risposta perché avevo paura, perché so che se la mia risposta fosse stata positiva sarebbe iniziato il mio “calvario”. Con un filo di voce le rispondo “sì”. In meno di 10 minuti attiva tutto: chiamata al 118 spiegazione rapida e ambulanza che arriva e mi trasporta in Ospedale.

Credetemi sono stati i 10 minuti più lunghi della mia vita: ho pensato a tutto, dalle cose più belle a quelle più brutte. Ho pensato: e se non dovessi ritornare a casa, e se torno e sto male. Mi è passato di tutto nella mente, con il respiro era ancora più pesante, le gambe mi reggevano a fatica, facevo fatica a parlare anche quando mi hanno chiesto in triage al Pronto Soccorso domande semplici di rito.

Sì, avevo paura. Una fottuta paura di non tornare a casa, di non sentire più i profumi di casa mia, la luce che entra in camera quando un giorno nuovo ha inizio, il profumo del mio cane quando salta sul letto per venirmi a svegliare, gli abbracci e le chiacchierate di chi vive questa esperienza con te in casa. E tutto questo da sola in una stanza di ospedale, mentre fra un tampone e un prelievo di sangue ero rinchiusa fra i miei pensieri.

Sì, ho anche pianto. Non è da me. Ma ho pianto anche perché non sapevo cosa in quelle ore successive mi sarebbe accaduto. Mi accompagnano quindi a fare gli RX ai polmoni, prassi dopo il tampone ed esami del sangue.

Ritorno in quella stanza silenziosa ma pesante piena dei miei pensieri lasciati li. Tra un messaggio e l’altro mandato a chi mi aspettava a casa, cercando di tranquillizzare il più possibile, aspetto l’esito di tutto.

Dopo più di un ora arriva l’esito del prelievo e RX ai polmoni: tutto bene, la saturazione era buona, meglio di prima. Il respiro ancora pesante e corto ma facevo finta di niente perché avevo paura, volevo solo tornare a casa, non volevo far vedere che stavo male e poi mi vergognavo, davanti a dei colleghi non mi andava. Arriva la Dottoressa responsabile del turno in pronto soccorso: mi dice che gli esami vanno bene, i polmoni anche se affaticati ma puliti e gli esami del sangue bene, non avevo febbre in quanto due ore prima avevo preso la Tachipirina da buona infermiera! La Dottoressa mi dimette e mi dice: “domani avrai il risultato del tampone”.

Ok torno a casa, cerco di rilassarmi, crollo anche se con il fiatone. Ma crollo con gli occhi gonfi di chi ha pianto una vita intera. Ventiquattrore dopo mi arriva la chiamata. La mia Dottoressa: “Vale, ho il risultato del tampone, è positivo!”.

Ecco, non ricordo cosa ho risposto o se ho risposto e cosa ho detto, ero scioccata, in trance non so come definire questa sensazione. Sembrava di stare in un altro corpo ma comunque ascoltavo e prendevo appunti su cosa dovevo fare il giorno dopo: quali medicinali prendere e come prenderli. Mi dispiace non ricordare quella telefonata, ma il mio cuore ha smesso un attimo di battere dopo la parola “positivo”.

Da qui è iniziato il mio calvario. I primi giorni sono stati lunghi e pesanti, non avevo le forze neanche di andare in bagno, ero stanca fisicamente, il fiato sempre più corto. La notte non riuscivo a dormire, la febbre andava e veniva, tutto questo fino al 12 aprile.

Dopo una settimana la cura sta facendo effetto. Poca tosse, il fiato corto molto meno ma stamattina dopo una settimana ho fatto una doccia. Forse ho strafatto perché mi è tornata la stanchezza e la pesantezza sul petto. Mi sono seduta in bagno e mi sono detta: “non pensavo che farsi una semplice doccia fosse così difficile!”.

Adesso sono qui. Cerco di scrivere ancora qualcos’altro. Grazie a chi leggerà, e soprattutto un grazie enorme a tutti quelli che mi stanno vicino e lontano. Prima o poi quando tutto questo finirà abbraccerò ognuno di voi.

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