Il 22 aprile si è festeggiata la cinquantesima Giornata Mondiale della Terra. Certo, molte persone si sono abbastanza stufate di queste ricorrenze dedicate universalmente a questo e a quello (probabilmente sono gli stessi che dicono di non festeggiare San Valentino perché “è San Valentino ogni giorno”), ma se la giornata mondiale della carbonara è oggettivamente superflua e dimenticabile, l’Earth Day lo è molto meno.
Ricordarci un giorno di più che il Pianeta si trova in pericolo e va preservato assolutamente è una buona cosa, perché si finisce per parlarne maggiormente, per imbattersi quel giorno in tanti articoli o programmi televisivi dedicati all’avanzare della desertificazione, all’estinzione di alcune specie, al cambiamento climatico.
In questo periodo di quarantena, i giornali raccontano che gli abitanti del Punjab hanno potuto vedere l’Himalaya a duecento chilometri di distanza e la cosa non avveniva da tantissimi anni. Nelle inquinatissime città della Cina, durante il lockdown il cielo si è rifatto azzurro e anche in pianura Padana è stata registrata una significativa riduzione dello smog. Molti sono i fattori che possono aver contribuito, ma il calo enorme del traffico e della produzione industriale ha inciso sull’abbassamento dell’inquinamento atmosferico. Le strade deserte hanno fatto sì che alcune specie animali, che generalmente si avventuravano solo di notte o al mattino presto nei centri abitati, in pieno giorno ricomparissero nelle città vuote. E così si sono fatti vedere fenicotteri rosa tra le strade asfaltate di Cagliari, banchi di pesci nei canali di Venezia, delfini lungo le coste liguri.
Dovremmo aver capito qualcosa da tutto questo, esserci resi conto, almeno, che l’impatto umano sull’ambiente è enorme e sono i nostri comportamenti a determinare conseguenze immediate e talvolta irreversibili sul Pianeta.
Il ritiro forzato nelle nostre case, in questo mese e mezzo abbondante, per esempio, è stato reso meno pesante da sopportare grazie a giornate piene di sole con un clima gradevolissimo, permettendo a molti di sfruttare il giardino, il terrazzo o il balcone per godersi i raggi del sole e temperature fin troppo elevate per il periodo. I più attenti, però, si saranno resi conto che non piove da tantissimo tempo. L’inverno appena trascorso è stato tra i più caldi da quando le temperature vengono registrate e questo è probabilmente connesso ai cambiamenti climatici. In Svezia non è stato possibile sciare per le temperature elevate e gli appassionati hanno dovuto ripiegare sugli impianti indoor. In Norvegia ad inizio gennaio la gente passeggiava in maniche corte.
Purtroppo, infatti, non basta qualche mese di lockdown per risolvere i danni gravissimi che troppe politiche sbagliate e comportamenti umani sconsiderati hanno prodotto sull’ambiente in anni e anni, ma è anche vero che abbiamo potuto notare tutti, durante la quarantena, come anche le più piccole modifiche delle nostre abitudini possano incidere positivamente sull’ambiente. Di conseguenza, se questi comportamenti ecologici fossero possibili sul lungo termine, il beneficio per il Pianeta sarebbe enorme e potremmo forse sperare di ridurre gli enormi danni inflitti alla Terra.
Sarebbe bello pensare che la pandemia ci cambierà, ci renderà più responsabili, più attenti a ciò che conta davvero e rispettosi di quanto ci è offerto dall’ambiente. Intanto, però, lungo via Sacharov a Lugagnano, come in tanti altri luoghi del territorio, in questi giorni è possibile imbattersi in file di guanti abbandonati a terra, bottiglie vuote di birra e confezioni di cartone e tetrapack sul ciglio della strada.
Non andrà tutto bene. Andrà bene nella misura in cui ci impegneremo per far andare bene le cose, per recuperare il tempo perduto,rinunciando a qualche comodità per rimediare ai nostri sbagli. Vale anche per l’ambiente.