Capita assai raramente che qualcuno ringrazi la stampa, i giornalisti, chi fa informazione a qualsiasi livello, per il servizio che rende alla comunità. Non è un problema, chi mastica questo mestiere sa bene che il nostro destino è sempre e comunque quello di prendersi critiche, anche sguaiate. Che sono realmente trasversali, da destra e da sinistra, da chi ha tre lauree a chi non conosce l’uso dell’h. Tutti uniti nella convinzione che quella di dare notizie sia un’attività banale, che chiunque saprebbe fare, meglio di chi la fa.
Manca completamente la consapevolezza di quanto il lavoro di una redazione presupponga invece di regole organizzative e professionali importanti e complesse, di quanto il lavoro di un giornalista, anche di una testata minuscola come Il Baco, necessiti di capacità, intuizione, intelligenza, disponibilità, apertura mentale, cuore. Sì, anche cuore.
Ma, come dicevo, va bene così. L’ostilità latente che noi giornalisti viviamo nel nostro quotidiano lavoro teso raccontare e spiegare la realtà dove viviamo ci costringe a dare sempre e costantemente il meglio di noi. Perché sappiamo che nulla sarà perdonato.
In questi giorni nei quali si allentano completamente le dure regole della quarantena che per più due mesi ci hanno costretti tutti a vivere un’esperienza tagliente, che ha messo alla prova il nostro tessuto economico e sociale oltre che le nostre stesse vite, mi sento invece di farlo io un ringraziamento. Un ringraziamento forte.
Il ringraziamento va ai 50 volontari del Baco, ragazze e ragazzi, uomini e donne, che da venerdì 21 febbraio – giorno nel quale la tempesta coronavirus si è addensata anche su Sona – hanno lavorato giorno per giorno, ora per ora, per fare in modo che la nostra comunità fosse sempre informata su quanto stava accadendo in maniera completa, seria, dettagliata, spiegata, responsabile. D’altra parte, come diceva Arthur Miller, un buon giornale è una nazione che parla a se stessa.
Anche noi abbiamo sofferto la fatica di queste settimane angoscianti. Alcuni di noi hanno dovuto abbassare la saracinesca sulla propria attività, qualcuno ha perso il lavoro, qualcuno ha vissuto le incertezze della cassa integrazione, qualcuno ha continuato a sfidare il virus fuori casa perché impegnato in lavori essenziali, tanti hanno dovuto confrontarsi con la didattica a distanza dell’università, qualcuno la didattica ha dovuto gestirla come insegnante.
Eppure, nonostante questo, in 100 giorni siamo riusciti a pubblicare 336 articoli sul tema della pandemia a Sona: più di tre al giorno. Cronache, interviste, analisi, commenti, editoriali, foto per raccontare in tempo reale una situazione senza precedenti che ha travolto anche il nostro territorio come un implacabile rullo compressore.
Quelli che abbiamo alle spalle sono giorni e settimane carichi di telefonate, email, whatsapp, videconferenze ad ogni ora del giorno e della notte. Di articoli da rivedere al volo, di interviste da rincorrere, di foto da ottenere a fatica, di analisi su cui confrontarsi, di dati difficili e tragici – quelli del contagio – da capire e pubblicare con responsabilità. Tutti assieme in uno sforzo veramente importante. Una squadra che proprio nell’emergenza è cresciuta tantissimo, sotto ogni punto di vista.
Come orgoglioso direttore di questa piccola ma combattiva realtà editoriale oggi quindi il mio personale elogio al termine di questa battaglia va a Elisa, Gianmaria, Francesca, Alfredo, Massimo, Giovanni, Chiara, Veronica, Francesco, Riccardo, Giorgia, Giulia, Diletta, Silvia, Giulia, Maddalena, Elia, Milena, Federica, Nicolò, Manuela, Alessandro, Vera, Riccardo, Massimo, Paola, Marco, Marisa, Lorella, Aurora, Dino, Renato, Mario, Enrico, Franco, Marco, Luigi, Federica, Elisa, Giulio, Pietro, Valentino, Renato, Valentina, Stefania, Mario, Gaetano, Agnese ed Elisa. Tutti volontari, tutti sempre pronti ad andare oltre ogni ostacolo.
Grazie ragazze e ragazzi, siete stati fortissimi.