“Dunque, poiché la primavera apre tutto, l’intensa asprezza del freddo cede il passo e la feconda Terra si apre, si dice che il mese venne chiamato aprile perché la stagione è aperta, e reclama Venere la nutrice, che pone la sua mano sopra il mese”.
Ovidio
Nella forza vivificatrice delle piogge primaverili, l’aria fresca e pulita di aprile è interamente permeata dai profumi della Natura. Come boccioli che si schiudono al tepore della prima stagione, ogni essere vivente percepisce lo stimolo all’apertura, per respirare nello spirito rinnovato della Terra.
Aprilis viene dal latino aperire col significato di “aprire”. Ad aprile, secondo mese dell’antico calendario romano, ricorreva l’anniversario della fondazione di Roma (il ventuno) e si accoglieva il ritorno della primavera riprendendo i festeggiamenti in onore delle Matres arcaiche. Venus, Tellus, Cibelis, Ceres, Pales e Flora, presiedevano al ciclo naturale di vita, morte e rinascita, quindi alla fertilità della terra, al nutrimento e alla crescita della vegetazione.
A quale dea in particolare era dedicato il mese che apriva alla bellezza della primavera? Naturalmente a Venere, che nella veste di Venus Verticordia veniva celebrata dalle donne romane, con il bagno rituale del primo aprile (Veneralia): “Madri e nuore latine, e anche voi che non portate benda né lunga veste, venerate la Dea secondo i sacri riti. Togliete i nastri d’oro dal suo collo di marmo, ella è tutta da detergere… offritele rose novelle e altri fiori. Ella vuole che anche voi vi laviate coperte da un ramo di verde mirto…” (Ovidio).
Nei suoi aspetti originari di “feconda creatrice dell’universo”, la dea dell’armonia e della bellezza esprimeva la sua influenza nel moto spontaneo che attrae le creature affini, atto a garantire la continuazione della specie. Verticordia significa “che volge i cuori”, in questo caso all’accoppiamento e al matrimonio, prospettandone la funzione civica a finalità procreative.
Il culto ufficiale di Venere aveva assunto un ruolo di rilievo nella politica romana dall’ultimo secolo della Repubblica. Nel suo aspetto di Veneri Matri (Venere era la madre di Enea dal quale discendeva il fondatore di Roma) e per la sua unione con Marte, la “nutrice” rappresentava i due caratteri fondamentali del mondo romano: l’origine divina della stirpe di Romolo e la forza militare.
La bellezza attrattiva incarnata da Venere va ben oltre l’apparenza: è il principio fondamentale che governa la vita, il riflesso della divinità vivificante che “diede ai campi e alle piante virtù generativa”, il sentimento che unisce e genera nuove forme.
Dopo il bianco e nero invernale, “sparge i fior l’aprile, sì gaio e sì gentile” e il mese di Venere è il mese dei fiori per antonomasia. I fiori sono la parte più bella e appariscente della pianta, quella che attrae gli insetti impollinatori e che donerà i frutti del prossimo raccolto.
Nel clima ancora mutevole di aprile, la vista e l’olfatto sono affascinati dai colori e inebriati dalla natura volatile del loro profumo, ma la natura dei fiori è effimera. Simbolo della bellezza spontanea da cogliere nell’attimo in cui si mostra ai sensi, i fiori si raccontano con un linguaggio proprio della sfera dei sentimenti che, come i fiori stessi, sono beni da coltivare perché espressioni dei moti della vita.
Nell’immagine, Mary Cassatt “Raccolta di fiori in un campo”, 1875.