A Sona abbiamo un problema con la classe dirigente

A Sona abbiamo un problema con la classe dirigente. Non sembrerebbe una gran cosa, tra i flutti ancora sufficientemente turbolenti degli effetti recessivi di una pandemia che sta finendo ed una guerra appena iniziata. Si tratta, invece, di una questione che ci investe tutti e sulla quale è necessario ragionare, ponendoci qualche domanda.

Il problema tocca principalmente la politica, in quanto realtà inevitabilmente sotto i riflettori, ma che a cascata investe tutte le esperienze pubbliche, dalle associazioni alle parrocchie, dalla scuola ai movimenti e comitati. Ma restiamo per questa analisi nella dimensione della politica.

Secondo il dato più recente, a Sona siamo in 17.629. Non pochi. Eppure sono anni – con qualche eccezione che però, come una rondine, non fa primavera – che non assistiamo ad un vero ricambio generazionale, che non vediamo volti nuovi nei ruoli che hanno un reale potere decisionale, che non riusciamo a fare uscire da casa donne  e uomini che abbiamo voglia di spendere nella politica locale competenze importanti e professionalità riconosciute.

Non vi è dubbio che una popolazione di 17.629 persone conta sicuramente al suo interno eccellenze che sarebbero preziosissime. Eppure, come si diceva, le porte delle case dove vivono non si aprono. Quali i motivi di questa che è un’inconfutabile realtà? Difficile dare risposte certe. Si possono però azzardare alcune ipotesi.

La prima, già ne abbiamo scritto, potrebbe nascere da una certa ipocrisia di chi nei posti del potere locale c’è già, che a parole quotidianamente piange la mancanza di nuove leve, salvo poi strangolare ancora nella culla chiunque provi a proporsi per un ruolo di prima linea. Tenendoli distanti, limitandosi ad elargire qualche condiscendente pacca sulle spalle (ogni tanto) e lasciando in realtà immancabilmente fuori dalle stanze che contano chiunque non faccia parte del cerchio magico.

Altra ipotesi è quella che il mondo della politica a tutti i livelli sconti talmente e da così tanto tempo una cattiva reputazione – spesso meritata, va purtroppo detto, soprattutto però a livello nazionale – che chi avrebbe capacità, competenze e professionalità solide si guarda bene dal farsi coinvolgere. Un fenomeno opposto a quanto accade in Paesi dove il civil servant è una figura stimata e riconosciuta, come in Francia.

Terza ipotesi è che le nostre comunità siamo ormai talmente imbevute di un egoismo sterile e velenoso che non vi sia più nemmeno la vaga percezione che spendersi per la propria comunità possa essere un’opzione, che dare il nostro contributo ci rende cittadini migliori, oltre che esseri umani più completi. Un atteggiamento con il quale si scontra anche tutto il mondo del terzo settore, con le associazioni rischiamo di morire per mancanza ormai cronica di volontari.

Probabilmente nessuna di queste ipotesi regge da sola, sicuramente ve ne sono altre e forse la risposta sta in un mix che le comprende tutte. Non ci sono quindi ricette pronte all’uso, o almeno noi non ne abbiamo da proporre.

Ma il problema esiste, e risulterà macroscopico tra un anno quando torneremo a votare a Sona, magari più di cento candidati che però nella maggior parte dei casi saranno solo figurine mentre quelli che tirano le fila li conteremo ancora in poco più delle dita di due mani. E sempre gli stessi.

Chiariamo però una cosa. L’esperienza è decisamente necessaria, non siamo certo tra quelli che con furia giacobina vorrebbero fare tabula rasa, buttando il bimbo assieme all’acqua sporca. E’ assolutamente vitale che sul colle di Sona sia presente e al timone una generazione di politici che sanno bene cosa significa il difficilissimo lavoro dell’amministrare. Ma dobbiamo trovare il modo di affiancare loro nostri concittadini che provengono da mondi differenti: eccellenze dell’imprenditoria, del lavoro, dell’associazionismo, della scuola, della cultura. Che ci sono. Dobbiamo stanarli nelle loro case e convincerli che ne vale la pena.

In un gustoso libretto uscito nel 2009, “Il fantasma del leader”, Alessandra Sardoni scriveva che “La prova dell’inesistenza del leader del centrosinistra l’ha fornita, su un maxischermo da 500 metri quadri, l’avversario di sempre: ‘Se esistesse un leader dell’opposizione…’ ha potuto scandire fra gli applausi Silvio Berlusconi, ammiccando all’irrealtà dell’ipotesi dal palco del congresso fondativo del Popolo della Libertà. Era la risposta al segretario del PD Franceschini, che lo aveva sfidato a non candidarsi alle elezioni europee, regalandogli involontariamente l’occasione per l’esibizione muscolare di quello che il centrosinistra non ha e lui invece sì: la leadership intera. “Sono un candidato di bandiera? Sì, una bandiera dietro la quale un leader chiama a raccolta il suo popolo. E sarebbe bello se anche il leader dell’opposizione, se esistesse un leader, facesse altrettanto”.

Storie vecchie, ma interessanti per sottolineare che a Sona invece non abbiamo oggi un problema di leader. Sono pochi, ma ci sono. Quella che manca è una classe dirigente differente, nuova di età e nuova di esperienze, con competenze dimostrate e capace di gestire processi e persone. Una nuova classe dirigente necessaria per dare energia e visione ed affiancarsi a chi le redini del Comune già sa tenerle. Si accettano consigli.

Nato nel 1969, risiede da sempre a Lugagnano. Sposato con Stefania, ha due figli. Molti gli anni di volontariato sul territorio e con AIBI. Nella primavera del 2000 è tra i fondatori del Baco, di cui è Direttore Responsabile. E' giornalista pubblicista iscritto all'Ordine dei Giornalisti del Veneto. Nel tempo libero suona (male) la batteria.