Ci sono ancora persone sotto cumuli di macerie, ci sono famiglie alle prese con lutti allucinanti e che sono ancora in attesa di poter avere i resti dei proprio cari, ci sono persone che stanno lavorando 24 ore su 24 su quello che resta di un ponte di Genova, con tutti i rischi annessi e connessi, ci sono persone che non hanno più una casa e un futuro incerto davanti, c’è una città paralizzata da una viabilità che da caotica diventa impossibile.
Sono situazioni che dovremmo limitarci ad osservare in silenzio, rispetto e angoscia. Ci sono poi reazioni forti, amare, piene di rabbia e di disperazione. Sono quelle delle persone coinvolte a vario titolo in questo dramma. Sono le uniche che si possono comprendere e giustificare nei toni e accesi e perentori con cui vengono espresse. Ne hanno tutti i diritti.
E ci sono poi persone che rappresentano le istituzioni dello Stato Italiano il cui sport preferito è rimbalzarsi accuse, responsabilità e minacce reciproche continue, con mescolanza di argomenti e notizie di cronaca di grido che non centrano niente con questo fatto. Giusto per continuare a delegittimarsi a vicenda in una corsa a chi è “più meglio” o forse, espressione più adatta, a chi è “meno peggio”.
E ci sono poi cittadini italiani che si lasciano coinvolgere in queste beghe da stadio. Compiacenti di diatribe inutili, sterili, postume, brutte da vedere. Schierati a Destra al Centro o a Sinistra in questa corrida a seconda della propria fede politica o meglio a difesa del ”proprio ego” e del proprio senso-tutto-personale del “io l’avevo detto, lo sapevo, quelli là sono dei farabutti, io voto solo quelli che meritano di essere votati, io so come funzionano le cose”. Certezze per tutti che poi crollano miseramente come i ponti davanti ai fatti.
Un ponte a Genova, che si porta dietro la morte di decine di persone, fa sicuramente più rumore di un qualsiasi evento di cronaca di comunità che quotidianamente viviamo nei nostri paesi. E’ solo la faccia di una medaglia che pesa di più per il tributo che si porta dietro. Ma un ponte altro non è che, per analogia con la nostra realtà locale, una strada da asfaltare, un dosso troppo o troppo poco alto, una casa di accoglienza per immigrati che dovrebbe o non dovrebbe esserci, una raccolta rifiuti che potrebbe essere migliore e che paga il dazio dell’inciviltà, una rotonda che potrebbe essere fatta meglio, una concessione pubblica che potrebbe essere gestita meglio, la richiesta di più vigili da ergere a difensori dell’incolumità pubblica, un’ambulanza che non arriva in tempo. E chi più ne ha più ne metta.
Anche qui certezze assolute e di parte che portano, inevitabilmente, alla critica a priori, allo schierarsi da una parte o dall’altra a seconda di dove tira il proprio vento, poche idee propositive ed informate a discapito di certezze perentorie che smontano quello che viene fatto, brutto o bello che sia. “Italia popolo di allenatori di calcio” qualcuno diceva. Si, vero. Ma anche di ingegneri, geometri, medici, giudici, carabinieri, avvocati, sindaci, commercialisti, presidenti, funzionari pubblici, imprenditori e compagnia cantando. Troppi e tanti in odore di “abuso di professione”, per fortuna in realtà professata solo a parole.
In Italia più che una ristrutturazione di ponti ci servirebbe una ristrutturazione del pensiero di milioni di italiani. Nessuno se ne senta escluso, nelle trappole del qualunquismo prima o poi ci cadiamo tutti. A Destra a Sinistra e al Centro o in una Lista Civica. La pochezza di pensiero e di spessore umano non è schierata, è trasversale. Come lo è , per antitesi, anche la capacità di essere concreti e di mettere in campo pensieri ed azioni di valore.
A partire da chi ci rappresenta all’interno delle istituzioni. A Roma a Venezia a Verona o a Sona la voglia di dimostrare di avere ragione a priori dovrebbe lasciare il posto alla consapevolezza che, quello che serve, è dare un futuro alle proprie Comunità al di sopra di ogni forma di pensiero restrittiva e orate-pro-meo. Il Bene Comune non è schierato e non ha bandiere.